Eoliammo
Eccomi qui, come se questi giorni di assenza da Palermo non ci fossero stati, mi ritrovo nei miei luoghi, con i miei familiari e con i miei gatti.
In realtà, ho preso “il largo” e mi sono allontanata da tutto quello che mi circonda .
Sono andata alle isole Eolie, in compagnia di Babinski, non le avevo mai calpestate e l’idea mi ha allettato, sentivo l’odore della natura che mi chiamava già dall’autostrada Palermo–Messina.
Arrivati a Lipari, ho cominciato ad assaporare i colori ma anche i sapori e l’atmosfera di certi luoghi.
Un di questi era la galleria tra Canneto e Lipari, gelida, capace di farci capire cosa fosse l’escursione termica sulla nostra pelle ma il tratto di strada successivo , sul lungomare che ci accompagnava al nostro rifugio, valeva la sofferenza: i primi ombrelloni, la strada che cominciava a popolarsi ed i ragazzini che si sentono già adulti, che si stuzzicavano, lasciando noi, di una generazione più grande un po’ basiti.
Nei giorni trascorsi ci siamo spinti verso avventure estreme, come l’essere andati alla spiaggia di Valle Muria, un sentiero di guerra in poche parole, ripidissimo e lontanissimo che ci ha portato in un piccolo golfo di Lipari dimenticato da Dio: eravamo solo noi due e delle pietre rosse, mute.
La nostra voglia di esplorazione ci ha fatto paventare l’idea di prendere un gommone e andare in giro per le altre isole, Vulcano è stata la nostra meta cercando di non essere o pescati o di diventare carpaccio per l’ustica lines o la siremar che facevano la spola tra i vari porticcioli, in attesa di offrire un antipasto ai passeggeri.
Non contenti di esserci salvati, abbiamo sfidato ancora una volta il destino prendendo l’aliscafo per Stromboli, un’ ora e quaranta di navigazione verso un vulcano che emerge dalle acque, Io già emozionata al solo pensiero ma il mare dopo avere lasciato Salina ha cominciato a farci cambiare colore ed espressione, così ho passato il resto del viaggio fuori a guardare il mare e gli isolotti che piano piano prendevano forma, ci siamo fermati a Panarea ma non mi ha destabilizzato ( brividi e lacrimucce) come hanno fatto Stromboli e Ginostra, quest’ ultima raggiunta in un secondo momento con una carretta, attraccando nel suo piccolo porto e proseguendo per una salita dove puoi incontrare degli asini. Le case distribuite lungo dei sentieri che si incrociano come vere e proprie vie sulla parete del vulcano, hanno qualcosa di magico, lungo queste stradine abbiamo trovato, forse, l’unico ristorante che c’è .
Ho provato ad immaginare la mia vita lì, senza acqua corrente, senza l’ombra di una macchina, in un paese che può essere raggiunto solo via mare e da un elicottero, salendo abbiamo visto la pista.
Un quadratino di cemento in una rientranza della montagna.
Chissà se chi vive ancora lì , c’è nato oppure si è andato a rifugiare in questo posto incantato, perso nel mare con alle spalle un gigante che borbotta quasi ogni ora, anche noi lo abbiamo sentito, facendoci ricordare dove eravamo, insieme ai cartelli della protezione civile che primeggiano con su scritto: “punto di raccolta”.
Oltre alla natura che ho respirato, ho anche mangiato, tanto. Babinski mi ha viziato portandomi in posti a lui noti in cui, l’atmosfera, i sapori, gli odori, ed i sedili in pietra con i cuscini ci hanno coccolato insieme al totano ripieno e alle alici marinate, passando dal vulcano di tonno con colata di gamberi, finendo con l’orchidea di ricotta.
Siamo stati comunque capaci di allestire ,a casa, un pranzettino dei nostri con un particolare in più, lo sfondo: mare a profusione e noi, felici e con le macchine fotografiche prese all’unisono per immortalare quello che comunque è stato già scolpito nei nostri cuori e nella nostra mente.
Grazie V.