Prima bevevo Negroni, ora “Frozen Shoulder”
Puoi scegliere di bere un cocktail ogni dieci anni? Sembrerebbe quasi un anniversario.
Esistono ricorrenze nelle quali decidi di brindare con una bottiglia speciale, anche se ad essere passata è una decade oppure il momento è così raro da volere più aspettare? Perché come si suole dire: l’attesa del piacere è essa stessa il piacere.
Sarebbero tante le ipotesi e le idee per fantasticare sul perché di questa mia abdicazione dal Negroni al “Frozen Shoulder“. Per vostra fortuna, miei gentili lettori, questo nettare è per pochi, anzi per poche ed è maggiormente consumato tra i trentacinque e i cinquantacinque anni, lo scopri per caso e probabilmente ancora non si conosce quale sia il motivo reale che ti faccia tanto appassionare ad esso.
La ricetta?
1/3 Monte Erice (per gli amici “ericino”)
1/3 Tonica
1/3 un bravo fisioterapista
Ghiaccio Tritato per varie ed eventuali
Dopo avere letto la ricetta avrete capito che uno degli ingredienti sembra stonare, in realtà è l’unica nota corretta di questo che non è un cocktail ma una patologia dolorosissima: la “Frozen Shoulder” in Italia conosciuta anche come “spalla congelata” o “capsulite adesiva” che purtroppo ho avuto sia dieci anni fa che l’anno scorso o forse sarebbe meglio dire durante gli ultimi dodici mesi. Inizia con un dolorino alzando il braccio, finisce con la quasi perdita totale di movimento della spalla e di conseguenza del braccio ma non lo fa in silenzio, no, lo fa urlando attenzione che si trasforma in uno dei dolori più assurdi che abbia mai incontrato. Si smette anche di dormire, il materasso preme, crolli di stanchezza ma superate le ore di sonno profondo, ti svegli con l’ennesima fitta lancinante che non lascia respiro.
Diciamo che è una di quelle cose che non vuoi augurare nemmeno al tuo peggiore nemico o forse sì.
Con il senno di poi rido anche ma mi tornano in mente ricordi assurdi, come quello dell’avere letto e sentito commenti sul mio prendere peso dieci anni fa, poveri stolti, sono ingrassata per questo, perché da un giorno all’altro ho smesso di nuotare e 1500 metri tre volte a settimana, vi assicuro che sulla bilancia fanno. Nel 2013/2014 è stata la spalla sinistra a cedere e di conseguenza il braccio, in fondo, mi consolavo pensando che non fosse quello del mio lato predominante e invece…era lì ad attendermi.
Nel 2024, nella mia ultima capsulite adesiva a ridarmi fiducia, speranza e soprattutto il mio braccio è stato il Dottor Valeriano Aprile, fisioterapista, incontrato grazie ad una mia amica, sua paziente, anche lei aveva ritrovato il sorriso dopo essere stata trattata.
Al primo appuntamento, ero preoccupata, ma tanto preoccupata, impaurita e soprattutto afflitta dal dolore incessante, portavo con me un braccio “fenotipicamente” sano, “geneticamente” distrutto: come se lo avessi completamente rotto e inutilizzabile ma era lì, libero, senza gesso o tutore. Effettivamente mi sono definita “disarticolata” per molti mesi.
Con le parti del tuo corpo, paradossalmente, ti accorgi di averle quando non le puoi più utilizzare. ciao braccio, mi manchi tanto, tvb, gli avrei scritto se fosse stato un amico lontano.
Ripenso alla prima seduta e la valutazione iniziata osservando cosa potesse fare il mio braccio: frontalmente si è fermato quasi subito, lateralmente ci ho provato, fallendo e andando in posizione antalgica, qual è la mia? Avambraccio su braccio in ritirata, così rannicchiata nel mio cantuccio meno doloroso.
Non ci siamo fermati, lui non si è fermato, abbiamo iniziato con la mobilizzazione passiva, ci siamo sudati centimetro dopo centimetro, io faticavo ma credo di non essere stata mai tanto paziente anche grazie al suo supporto.
Il dottor Aprile è stato capace, con le sue competenze, anche di lavorare sulla parte psicologica legata alla mia paura di andare avanti per il terrore di provare quel dolore e di farmi riappropriare dei movimenti naturali che nel corso del tempo si erano persi e io con loro.
Vi ricordate la storia della “vocazione” per la propria professione? Ecco, lui l’ha avuta per la fisioterapia, lui è fisioterapista non lo fa: lo è.
Ci vedete in questa foto insieme, l’ho scattata ieri pomeriggio, dicendogli che gli avrei dedicato un post sul mio blog per ringraziarlo di tutto.
“Come la facciamo questa foto?” “Io le pose le odio, sto sempre dietro l’obiettivo anche per evitare che l’otturatore si apra e chiuda su di me“, gli confido con poca disamina.
Facciamo due tentativi, entrambi pochi convinti del risultato, ho la mia solita illuminazione creativa: “Mi tiri il braccio“, la nostra posa più naturale e che più ci rappresenta.
Stavolta da fare da cornice è la fotografia stessa: al mio 2024, all’esperienza vissuta, al dolore lontano, al dottor Valeriano Aprile.
Cosa è questo post un “endorsement”? Sì, lo è, perché anche se spero che ci sia sempre un posto per me nella sua agenda, spero che chi ha bisogno, a Palermo, di un fisioterapista competente, bravo, empatico possa essere aiutato dalle sue mani sapienti e a proposito di mani, se vedete la mia che si solleva insieme al mio braccio per salutarvi è grazie a lui
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