Scopone è andato via
“Mamma, il veterinario ha fatto una prescrizione di un mese per Scopone, allora pensa che almeno un altro mese vivrà!”
Così mi ero illusa cinque giorni prima che Scopone, Pezzetto, Eva o George ci lasciasse, a volte la mia speranza e la mia ingenuità travalicano la morte.
Scopone mio,
sei arrivato a casa quando ancora non c’era l’Euro nelle nostre tasche, era il giugno del 2001. Tu eri una pezzetta, così ti ho chiamato la prima volta che ti ho preso in braccio, poco dopo la tua nascita, nel balcone a casa di nostra cugina Cristina. Ti sei spalmato sulla mia gamba come una pezza bianca, ma perché le pezze si spalmano? No, ma questo sembravi e così ti ho chiamato.
Perché tutti questi nomi? Dovevi essere George in onore di Clooney, ma il primo medico che ti visitò mi disse che eri una femmina, anche se a me sembravi maschio ma se te lo dice il veterinario che fai? Così sei diventato una femmina, ma solo fino al primo richiamo vaccinale, quando ci fu detto che eri un maschio, ma intanto avevi già associato il suono del tuo nuovo nome, Eva, quindi lo sei rimasto per sempre, poi crescendo sono arrivati altri nomi. Pezzetto, era il tuo marchio di fabbrica, Scopone, quando crescendo, ci hai fatto vedere di cosa era capace il tuo mantello invernale, che coda gattone mio! Per un periodo sei anche stato un bullo di periferia, dopo averti visto con il “cambio stagione” primaverile.
Bianco, bianchissimo, polpastrelli rosa, un occhio giallo e uno azzurro, udito perfetto.
Eravamo tutti abituati a Titti, la prima gatta con cui abbiamo vissuto mia sorella e io, Titti era un cane nel corpo di un gatto o forse un essere umano che si era reincarnato in lei: ogni mattina quando ci vedeva voleva coccole e coccole ma al livello maniacale, che amore infinito anche il suo. Tu invece restavi a dormire nella tua cesta quasi disturbato dalla luce, mi facevi troppo ridere.
Sei stato recuperato anche dai Vigili del Fuoco, non a causa nostra: quando hai avuto il flirt che ti ha fatto diventare papà di due micini ti hanno lasciato incustodito in una terrazza e hanno dovuto chiedere aiuto per recuperarti, avevi piantato le zampette come i bambini e non avevi intenzione di saltare per tornare sù.
Che panico quando l’ho saputo: per fortuna è andato tutto bene, così bene che sono nati Fosca e Merlino. Fosca, che non ci volevano dare, ricordo quando sono scappata di casa con il trasportino vuoto, quel maledetto trasportino vuoto, esclamando: “Il mio gatto non dona sperma così!”.
All’Eremo abbiamo qualche storia, sola nostra, da raccontare. Già, quante volte mi sono messa in mezzo per evitare che ti “scannassi” con qualche altro gatto campagnolo passato di lì per caso Prendendo di solito morsi in ogni dove da parte tua, l’altra volta il dottore me lo ha detto: “Mai mettersi in mezzo tra due gatti anche se uno è tuo”, ma era più forte l’istinto di protezione nei tuoi confronti che nei miei. L’estate scorsa ho sentito il tuo vocione, quello arrabbiato, sono uscita, in un nano secondo, ed eri “testa a testa” con un invasore di territorio, il tuo.
Non rispondevi a nessun comando, niente, che fare? Ho preso il tubo dell’acqua e si salvi chi può: il rivale è fuggito ma tu dietro a inseguirlo, ti volevi assicurare che fosse andato via, vero? Per poi stazionare sotto un auto incavolato nero, anche sei eri bianchissimo…e io lì, sulle ginocchia piegata a guardarti controllando che non ti facessi male, che non scappassi e che ti decidessi finalmente di entrare a casa.
Una volta ti sei lanciato pure dalla terrazza, quattro metri almeno, di corsa dal veterinario del Paese per vedere si ti eri sfracellato qualcosa ma eri un fiore: atterrato perfettamente, sempre un gatto eri…sei.
Ho letto che quando i gatti ti leccano credono di prendersi cura della tua igiene, e tu lo facevi, a volte mi leccavi anche le caviglie, mi basta questo per sapere che a modo tuo, gatto, mi amavi.
In tutti questi anni hai conosciuto tantissime persone, l’altro giorno Gianpiero mi ha scritto che all’Università eri con noi…visto i peli che portavo a lezione. A proposito di Biologia, non dimenticherò mai quando studiavo Ornitologia e avevo un CD con 400 canti di Uccelli d’Europa da ascoltare e tu arrivavi leccandoti, letteralmente, i baffi sperando di avere a disposizione tutti quei volatili.
Quante cose si possono vivere in diciannove anni con un gatto?
Il 23 aprile ho sperato che finisse tutto a casa, presto per te e presto per me, la mamma e papà, ma così non è stato, così siamo dovuti andare durante il lockdown e una pandemia mondiale a porre fine alla sofferenza che stavi vivendo, viverla per morire.
Anche se a casa avevo gridato, piangendo, che non volevo vedere un’altra eutanasia, l’ho fatto, perché in quegli ultimi momenti, affogando dentro la mascherina e dentro le mie lacrime, ti dovevo stare accanto, lasciarti andare via accarezzandoti la testa, così come la prima volta che ci siamo visti.