1943 – Lo sbarco in Sicilia e “lo scecco”
In memoria di mia zia Anna
Nella torrida estate del 1943, gli Stati Uniti preparavano già da tempo lo sbarco in Sicilia, le operazioni iniziarono il 10 Luglio, il giorno precedente al V compleanno di mio padre.
Questa volta non siamo a Palermo ma a Licata, il principale obiettivo da conquistare era il porto, il fuoco artiglieria navale proteggeva i mezzi che si avvicinano sempre più.
Bollettino n. 1141 del 10 luglio 1943:
“Il nemico ha iniziato questa notte, con l’appoggio di poderose formazioni navali ed aeree e con lancio di reparti paracadutisti, l’attacco contro la Sicilia. Le forze armate alleate contrastano decisamente l’azione avversaria; combattimenti sono in corso lungo la fascia costiera sud orientale“.
Le unità italiane erano composte per la maggior parte da siciliani, una precisa scelta degli alti comandi; si pensò che questi avrebbero combattuto con maggiore impeto per difendere la propria isola.
Si sottovalutò però il fatto che l’età media dei soldati era piuttosto alta e che la maggior parte di essi era sposata; se a questo aggiungiamo il loro scarso addestramento ed il fatto che a guidarli c’erano per lo più ufficiali della riserva allora il quadro è completo.
Le maggiori defezioni riguardarono soprattutto le unità costiere; dopo aver sparato pochi colpi contro il nemico, i reparti si sbandarono arrendendosi al nemico o ritirandosi nell’entroterra; le unità dell’esercito si comportarono invece molto meglio.
Tra questi soldati, sposato, siciliano c’era mio nonno che era stato richiamato alle armi a Campobello di Mazara, che ignaro di quello che stava per succedere aveva detto a mia nonna di “sfollare” lì, perché apparentemente più tranquillo.
Così, mia nonna, mia zia Anna e mio padre lo raggiunsero con un treno, praticamente un paio di giorni prima che iniziassero i bombardamenti anche lì.
Per salvare tutta la sua famiglia, anche mio nonno scappò verso la sua città, ma in Sicilia durante la guerra con cosa si poteva fuggire? Trovarono un carretto e uno “scecco” (asino) e si incamminarono: tutta la famiglia Tudisco tra le trazzere polverose iniziò a tornare verso Palermo.
Cinque lunghi giorni di viaggio per arrivare appena a Partinico, le notti le passarono sotto un tetto di stelle, al sesto giorno l’asino però morì, stremato dal viaggio, dalla fame che accomunava tutti.
Mio padre mi racconta, nei suoi ricordi fiochi di un bambino di 5 anni in mezzo alla devastazione, che trovarono ospitalità ed aiuto alla stazione, grazie ad un ferroviere.
Questo è stato il terzo dei più brutti momenti per la storia di mio padre e della Sicilia, durante la seconda guerra mondiale, scolpiti per sempre nella sua memoria con l’esplosione della nave volta e l’atroce bombardamento del 9 maggio 1943 che devastò Palermo.