Edda Mussolini a Palermo, scrive al padre durante la guerra
Oggi, prima di pranzo sono stata alla Feltrinelli, non cercavo nulla di preciso, mi sono lasciata trascinare da quello che mi circondava.
Guardando un libro sulla seconda guerra mondiale, fotografico, ho scoperto una lettera scritta dalla figlia di Mussolini, Edda, che si trovava nella nostra Palermo con la Croce Rossa.
In questa lettera racconta la situazione terribile in cui si trova Palermo, di quanto la popolazione sia disperata e letteralmente morta di fame.
Tra le righe ho rivisto mio padre, un bambino, è nato nel 1938, ed ho anche rivisto i suoi racconti, che spesso ho raccontato qui sul mio blog; una descrizione precisa e minuziosa della situazione davvero tragica.
Non vi nascondo che mi sono gonfiati gli occhi di lacrime.
Prendete questa lettera come un documento storico, narrativo, di un momento bloccato per sempre nel tempo per i posteri, in una lettera da una figlia ad un padre.
Edda era sempre, comunque, la figlia di Mussolini, tanto da concludere la lettera con un pensiero rivolto alla strategia politica del padre: “…qui il problema è gravissimo e può da un momento all’altro diventare catastrofico anche politicamente.”
“La città vicina al porto è praticamente a terra e anche parte delle vie principali è semidistrutta. Il terrore è dipinto su tutte le facce. A mezzogiorno quei pochi che da Monreale scendono in città si precipitano verso la collina. Dalle 2 in poi la città è deserta, salvo per i militari e pochi civili. E parliamo un poco dei civili. A parte i morti, ci sono i feriti e tutti quelli che hanno perso assolutamente tutto. Vivono lungo i margini della strada o dentro le grotte; sotto le rocce muoiono di fame e di freddo. Letteralmente, e sai che io non esagero. Il fascio fa quello che può, ma dovrebbe avere l’aiuto delle autorità militari che a un certo punto non dovrebbero fare differenze. I poteri sono divisi e come sempre uno scarica la responsabilità sull’altro.
Intanto il problema dell’alimentazione diventa sempre più grave; dopo l’ultima incursione del 9 maggio la popolazione è rimasta sei giorni senza pane, un po’ perché colpiti i depositi, molto perché non uno dei 300 forni di Palermo ha funzionato. Nessuno ha pensato a farli riaprire d’autorità. Manca l’acqua da circa un mese, i telefoni non vanno, la luce c’è quando c’è.
Per fartela breve, questa gente non ha la pasta dal mese di marzo o d’aprile. Mai l’assegnazione è arrivata a tempo, perché? Qui i civili si sentono abbandonati e lo dicono. Per ora non si ribellano, ma mi dice la fiduciaria Monroy che se non si provvede a far dare pane e pasta, c’è da aspettarsi qualsiasi cosa. La popolazione civile da cinque mesi non vede la carne. Qui oltre al disordine e il bombardamento c’è la fame vera, cronica, da mesi. Un chilo di pane costa 70 lire.
Penso che sia ora di porvi un rimedio, di considerare la Sicilia, e specialmente le zone colpite, come terre terremotate in cui non e rimasto nulla. C’è bisogno di medicinali, di indumenti, di mezzi di trasporto per far sfollare questa povera carne da macello. Ti basti questo. A Monreale ci sono circa 20 mila sfollati, una parte dei quali potrebbe essere inoltrata nell’interno. Domandati camions al comando militare, hanno promesso due camions un giorno sì e uno no. Buon Dio, ne diano 50 tutti in una volta e così si faccia un principio di sfollamento e nello stesso tempo si avvertano i comuni che dovranno riceverli.
In quanto ai militari pare, mi è stato detto dal Segretario Federale, che danno spettacolo di paura peggio dei civili, fuggendo come lepri nelle campagne. Ma questo è niente. Finita l’incursione, invece di precipitarsi ad aiutare, se ne stanno tranquilli, a differenza dei tedeschi che si danno da fare. La popolazione, che non poteva soffrire i tedeschi, ora non solo li tollera, ma li ammira per il loro senso organizzativo e anche altruistico.
Per riassumere, manda viveri. Soprattutto pane e pasta (non domandano altro), medicinali e indumenti. Io sono in un ospedale civile; questa gente è nuda nei letti e i loro superstiti famigliari vengono a domandare il pezzo di pane che il loro congiunto risparmia sul suo vitto. E soprattutto non abbiano l’impressione di essere abbandonati. Io sono stata in Albania e in Russia, mai ho visto tanta sofferenza e dolore. E io stessa ho l’impressione di essere capitata non so dove lontana le mille miglia dalla Patria e dalla civiltà. Non si potrà per tutti, ma che abbiano l’impressione che si tenta di aiutarli.
È buona gente, così paziente, così pronta a riconoscere… Ti ripeto: pane, pasta, medicinali, indumenti, soprattutto per i civili. I militari stanno bene. Fammi sapere se hai ricevuto e ti prego provvedi. Capisco le difficoltà ecc., ma qui il problema è gravissimo e può da un momento all’altro diventare catastrofico anche politicamente. Ti abbraccio, Edda”.