Quando apro e scrivo sulla mia moleskine non è mai un buon segno.

Inutile prendere se stessi per stupidi, il mio traduttore simultaneo dell’umore è dato dallo scrivere, con un rapporto inversamente proporzionale:  più scrivo peggio è! In queste pagine se si guardasse controluce si potrebbe leggere “Serena”, come se fosse una di quelle carte pregiate in cui il marchio di fabbrica è inciso tra le fibre del foglio.

Ho lasciato dei grandi accenti molti acuti ed altrettanti gravi,  tanto da uscire dalle pagine, inseguendomi come un boomerang, lanciato anche da me.

Sono riuscita anche ad usare una bic per comporre, abbandonando le penne a spirito con il loro tratto leggero,  così da rendere ancora più pesante il contenuto di quello scritto: la carta si increspa e si arriccia sotto le sfere della mia penna e delle mie parole, come se non volesse accogliere quello che sto per dargli, uno specchio ormai rotto che ha trafitto il mio cuore.

Poi quando ho finito di scrivere resta una copertina nera, ed un elastico per sigillare quello a volte sembra sospeso, come se ogni pagina intrisa dei miei pensieri attendesse una soluzione o una fine che tarda ad arrivare perchè non sempre c’è, soprattutto nella mia vita.